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Premessa per un linguaggio inclusivo
Potrebbe essere superfluo specificarlo, ma nella società in cui viviamo, spesso è il caso di esplicitare anche le cose ovvie.
Il linguaggio è solo una parte, e forse neanche la più importante, delle accortezze che si possono usare per dimostrare interesse per il prossimo.
Purtroppo l’italiano non aiuta ad utilizzare un linguaggio inclusivo, ma ci si può provare.
Inglese
In inglese la situazione è sicuramente migliore, in quanto esiste il genere neutro ed è possibile quindi utilizzare i pronomi they/them e perché la costruzione della frase è indipendente dal genere, questo facilita un linguaggio inclusivo.
Quindi, se non conosciamo la persona di cui stiamo parlando e vogliamo essere inclusivi possiamo usare il pronome neutro.
Ad esempio:
Someone left his or her backpack behind. → Someone left their backpack behind.
Italiano
La lingua italiana non permette queste forme, per cui negli anni si sono utilizzati vari metodi, tutti con diversi difetti e/o limiti, rendendo difficile il reale utilizzo di un linguaggio inclusivo.
Lui/lei
Il primo modo è mettere pronome e coniugazione della frase al maschile e al femminile (“caro/a iscritto/a”). Questa forma ha due limiti, uno “estetico”, l’altro di sostanza.
- Esteticamente diventa brutta e quasi impossibile da leggere quando il paragrafo diventa lungo (“caro/a iscritto/a, invitiamo lei ed il/la suo/sua partner alla festa di premiazione del/della più attivo/a socio.”)
- Ormai anche i sassi sanno (o dovrebbero sapere) che non ci si può più limitare al sistema binario, per cui questo sistema esclude di fatto tutte le persone che non si sentono ne maschi ne femmine.
Asterisco
Come dicevo prima, l’italiano prevede una serie di articoli, coniugazioni, pronomi e preposizioni dipendenti dal genere, per cui limitarci all’asterisco lascia aperti una serie di problemi (“la professoressa di matematica ha premiato il suo alunno” -> “l* professor* di matematica ha premiato *l* suo alunn*“). Come vedete, una frase molto semplice diventa immediatamente poco chiara ed impossibile da leggere, l’articolo il al maschile diventa la al femminile e dove andrebbe l’asterisco? Professore al femminile è professoressa.
Inoltre l’utilizzo smodato di simboli, potrebbe creare problemi alle persone affette da dislessia, per cui per essere inclusivi si rischia di mettere in difficoltà altre categorie di persone.
Schwa (ə)
Risolve un problema dell’asterisco, ha un suono a differenza dell’asterisco (una specie di via di mezzo tra “a” ed “e”), ma lascia intatte le problematiche dell’asterisco. La frase rimane confusa.
Maschile sovraesteso
Tra le altre problematiche per avere un linguaggio inclusivo in italiano c’è il fatto che in grammatica il maschile prevale su femminile, per cui potremmo parlare di un gruppo di 100 elementi femminili ed 1 maschile che ci si dovrà riferire a quel gruppo al maschile. Tendenzialmente sarà sempre banalmente “studenti” se si riferisce ad esempio a tutto il corpo studentesco.
Possibili soluzioni
Quindi non ci sono soluzioni? Se si vuole restare nella correttezza grammaticale si può dire di no. C’è un ma per fortuna, invece di stravolgere le regole grammaticali, la soluzione per me migliore è quella di abusare delle perifrasi.
Ovvero cercare di formulare le frasi senza la necessità di declinare il genere, per cui invece di salutare con un classico “ciao ragazzi”, si può cavarsela con un “ciao gente”. Certo, non è sempre così facile trovare alternative nella composizione della frase, penso al celeberrimo “Signore e signori”, non più così inclusivo.
Uno dei “trucchi” possibili consiste nell’utilizzo del termine “persona”, sicuramente rende la frase meno orecchiabile, ma diventa questione di abitudine, perché quindi non trasformare un classico “un caloroso benvenuto a tutti” in “un caloroso benvenuto a tutte le persone presenti”? Per riferirsi ad una persona di cui non si conosce l’identità di genere (è sbagliato presumerla dall’aspetto), invece di dire che “lei è brava”, perché non dire “è una brava persona”?
Ma anche banalmente nella definizioni dei titoli lavorativi non è così banale essere inclusivi, per cui se cerchiamo “uno sviluppatore software” potremmo invece cercare “una risorsa che sviluppi software”.
Conclusioni
Ribadisco che il rispetto verso le persone lo si dimostra prima con i fatti che con le parole, sempre fermandoci ai pronomi, chi ci da del “lei” non necessariamente ci porta più rispetto di chi ci da del “tu” o addirittura ci chiama “zio” (ok è l’estremo questo), per cui sono certo che se ad una persona non binaria o con disforia di genere mi rivolgo sbagliando il pronome, ma nei contenuti porto rispetto in quanto persona, credo che possa perdonare la mia distrazione e sarei contento che comunque me lo facesse notare per non commettere lo stesso errore successivamente.
Personalmente da circa un anno sto cercando di formulare le frasi nel modo più inclusivo possibile e devo dire che per quanto sia oggettivamente uno sforzo (e che purtroppo non sempre mi riesce, come sicuramente gli articoli su questo sito possono dimostrare), credo che ne valga la pena se il mio linguaggio permette anche solo ad un individuo di non sentirsi fuori contesto o comunque che una mia distrazione possa generare disagio nel prossimo.
Alcuni approfondimenti:
– https://www.gay.it/pronomi-they-them-non-si-traducono-loro-italiano
– https://www.igeacps.it/cose-lidentita-di-genere-e-come-si-forma/
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